lunedì 16 maggio 2016

LEOPARDI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA

Volendo riassumere in breve la posizione leopardiana intorno alla  questione della lingua si dirà che egli, pur su una linea comune di affermazione dei valori della tradizione linguistico-letteraria, in opposizione al padre Cesari, al Puoti e agli altri Puristi (che in modo assolutamente conservativo propugnavano un ritorno della nostra lingua all’uso trecentesco, senza preoccuparsi della natura dinamica di essa come di ogni altra lingua) sostenne che il secolo di Dante non aveva esaurito del tutto i valori della lingua italiana che, anzi, solo successivamente ebbe modo di raggiungere splendidamente la sua acmè nel ‘500, il  secolo veramente aureo della nostra cultura non solo letteraria, allorché l’Italia, come sostiene il poeta, ebbe: <<coltivatori di ogni sorta di cognizioni e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua, ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec.>>. Da quest’ultima affermazione risulta che l’autore dei Canti condividesse il precetto illuministico-romantico della lingua quale organismo vivente soggetto ai movimenti della Storia, come dimostra più chiaramente la seguente ed interessante ipotesi leopardiana, consegnata il 31 luglio 1822 alle pagine dello Zibaldone, e sostenuta con abbondanza di considerazioni storiche, politiche e filologiche non meno che fantastiche dietro le quale vediamo rispuntare l’influenza del pensiero vichiano o la probabile  mediazione del Cesarotti: << La storia di ciascuna lingua è la storia di quelli che la parlarono o la parlano, e la storia delle lingue è la storia della mente umana (L’histoire de chaque langue est l’histoire des peuples qui l’ont parlé ou qui la parlent, et l’histoire des langues est l’histoire de l’esprit humain>>. Pertanto sarebbe stato insensato, sia cercare di fermarla, immobilizzandola, sia bloccarne lo sviluppo retrocedendola addirittura nel passato, come pretendevano di fare ad apertura di secolo (fra il 1806 e il 1811) quelli che sotto le bandiere del cosiddetto << purismo >> propugnavano un esclusivo ritorno al Trecento, quel tanto lodato e benedetto secolo d’oro nel quale, a loro modo d’intendere, tutti parlavano e scrivevano bene.


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Prof.ssa Angelica Piscitello