Anche se
bisogna evitare rigide periodizzazioni, possiamo dire che, a grandi linee:
- il Manierismo caratterizza la seconda metà del Cinquecento
- il Barocco caratterizza il Seicento.
Mentre il Barocco rappresenta il momento in cui gli artisti esprimono
coscientemente una nuova concezione dell’arte e della cultura (e sottolineano
la novità e il carattere di rottura della loro arte rispetto a quella
umanistico-rinascimentale), il Manierismo rappresenta un momento di passaggio:
esso “partecipa del vecchio senza conservarne lo spirito, ma tende anche al
nuovo senza istituirlo a sistema”.
Il Manierismo, infatti, si colloca storicamente in un’età nuova (quella
della Controriforma), ma ancora non manifesta una chiara coscienza della fine
della stagione umanistico-rinascimentale. E’ il riflesso di un’età di profonda
crisi, che non trova ancora una forma originale di espressione.
Inquietudine, instabilità, dissidio interiore, ambiguità sono le cifre
della migliore arte manierista, che è arte classicistica, ma non più
“classica”.
L’intellettuale è cambiato, gravita attorno a nuove istituzioni culturali
(la Chiesa e l’accademia, più che la corte), ma non è ancora impegnato
consapevolmente nella elaborazione di nuovi valori e di nuove forme artistiche.
Pertanto, si continuano a proporre le forme del passato (che sono quelle
tipiche dell’età umanistica), anche se ormai i contenuti tipici dell’arte
classica vengono ritenuti per lo più inconciliabili con la morale
controriformistica.
Quindi, anche se si continua ad affermare che bisogna imitare i classici,
si sostiene che tale imitazione debba comportare però una selezione tra i
contenuti da loro proposti: possono essere imitati solo quelli che possono
essere attualizzati, cioè che possono essere validi per l’uomo moderno.
Inoltre, più che all’imitazione dei classici si dà importanza
all’imitazione della natura, ma anche in questo campo opera la censura: sono
degni di imitazione solo gli aspetti della natura poeticamente trasfigurabili:
tutto ciò che attiene alla sfera del brutto, dello sgraziato, del deforme non
può essere oggetto dell’opera d’arte.
Fiorisce tutta una precettistica, con una rigorosa determinazione degli
argomenti “poetabili” (cioè, degni di essere oggetto di un’opera d’arte) e di
quelli non poetabili.
In effetti, tipica del Cinquecento è la riflessione su problemi di poetica,
prendendo spunto ancora una volta dalle teorie elaborate nell’epoca antica. Nel
corso del Cinquecento, infatti, viene meno la fiducia nell’ideale di uomo
tipico dell’età umanistico-rinascimentale e gli intellettuali, più che
impegnarsi nella produzione creativa, tendono ad irrigidirsi in uno studio pedante
degli aspetti formali dell’arte.
Il primo sintomo è un’attenzione ossessiva allo studio della retorica, che
non è più sentita tanto come arte del persuadere (così com’era sentita nell’età
antica ed anche in epoca umanistica), ma come un insieme di norme relative agli
aspetti formali di una letteratura intesa soprattutto come “ornamento della
vita”.
Le accademie, che fioriscono e si moltiplicano con incredibile rapidità tra
Cinquecento e Seicento, si specializzano sempre di più (mentre i cenacoli
umanistici erano luoghi di confronto e di scambio sui temi e le problematiche
più varie): alcune studiano la retorica, altre la lingua, altre il teatro ecc.
Gli artisti, insomma, tendono più che mai in quest’epoca a specializzarsi.
Il valore non è più l’intellettuale versatile e capace di spaziare nei vari
campi dell’arte e del sapere (com’era tipico dell’età umanistica); ora si tende
a separare e a specializzare i vari percorsi: lo scopo è quello di raggiungere
una sempre maggiore perfezione nell’utilizzo degli strumenti tecnici dell’arte
(aspetti formali), a scapito dei contenuti.
Grande interesse suscita in questa fase la Poetica di Aristotele: l’opera
era stata ritrovata già alla fine del Quattrocento, ma è adesso che gli
intellettuali la studiano con particolare impegno, perché ritengono che essa
possa rappresentare la base per formulare una serie di precetti a cui rifarsi
nella produzione letteraria.
Tutto ciò denuncia la profonda insicurezza degli intellettuali in
quest’epoca: essi devono stare attenti a ciò che dicono, per timore di
incorrere nella censura della Chiesa. Pertanto, hanno bisogno di rifarsi ad
un’autorità certa (e Aristotele lo era per unanime riconoscimento), per essere
sicuri di non prestare il fianco a critiche e ad accuse dei contemporanei.
Aristotele forniva una serie di norme che vennero assunte dai manieristi come
una sorta di “vangelo”, cioè come un insieme di regole fisse, cristallizzate e
assolutamente immutabili: tutto ciò, tra l’altro, a prezzo di dubbie
interpretazioni e, in qualche caso, di vere e proprie ulteriori deformazioni
del pensiero di Aristotele.
Comune a Manierismo e Barocco è lo stravolgimento degli schemi e dei
modelli equilibrati del Classicismo: ma mentre il Manierismo agisce all’interno
delle forme classiche, corrodendole e facendole quasi ripiegare su se stesse,
il Barocco tende invece a far esplodere quelle forme, proiettandole
all’esterno, variandole e moltiplicandole, in una ossessiva ricerca del
“nuovo”.
Il Manierismo tende a scomporre i particolari, a separarli tra loro; il
Barocco tende invece a moltiplicarli. Esso cerca una nuova comunicazione, uno
scambio incessante con la natura: l’arte viene percorsa dal flusso vivace della
natura che viene catturata e ricreata nell’arte (significativo è il gusto
barocco per le fontane), in un trionfo della spettacolarità, degli effetti
scenografici proiettati in tutte le direzioni.
Il Manierismo ha rapporti tortuosi e difficili col pubblico, al quale
spesso sembra nascondere ciò che vuole comunicare; il Barocco, invece, cerca
sempre di fare effetto sul pubblico, vuole sollecitarne il piacere e la
meraviglia attraverso un uso sensuale dei mezzi artistici, dei quali potenzia
tutte le capacità di illudere e di ingannare.
L’arte barocca manifesta curiosità per le scoperte tecniche e scientifiche
dell’epoca, per le nuove intuizioni sull’Universo, ma per lo più questa
curiosità è soltanto esteriore, interessata soltanto ala meraviglie che gli
artisti possono suscitare con quelle novità.
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Quali cause portarono alla crisi del Rinascimento italiano?
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Prof.ssa Angelica Piscitello