È saggio… non cominciare a parlare finché non sei certo di ciò che vuoi comunicare! Ma come passare in maniera efficace dall’idea alla sua enunciazione? Attraverso il linguaggio ogni persona cerca di esprimere ciò che pensa e sente, comunicando agli altri una serie di messaggi. Esprimersi bene significa, in primo luogo, saper trasmettere agli altri i messaggi interiori, proprio come li abbiamo concepiti. L'arte della comunicazione è quella di far corrispondere al pensiero le parole!
martedì 24 maggio 2016
martedì 17 maggio 2016
LA QUESTIONE DELLA LINGUA: ALESSANDRO MANZONI
Con il termine ‘questione della lingua’ si è soliti indicare una storica disputa in ambito letterario per identificare quale lingua utilizzare nei territori della penisola italiana. Tale dibattito iniziò di fatto al principio del 1300 con il trattatto De vulgari eloquentia (in lingua latina) di Dante Alighieri, ebbe una fase acuta agli inizi del 1500 e continuò a fasi alterne fino all’epoca di Alessandro Manzoni con il quale si ebbe una svolta importante. Egli affrontò la questione della lingua in un primo tempo per ragioni artistiche e religiose, e in un secondo tempo per ragioni civili e patriottiche. Le ragioni artistiche e religiose sono connesse alla composizione dei Promessi Sposi. Accingendosi a scrivere il romanzo, Manzoni si pose il problema di un linguaggio che fosse in armonia con la sua poetica, la quale, facendo dell’opera d’arte un mezzo di elevazione morale e di apostolato delle verità cristiane in mezzo al popolo, esigeva l’uso di un linguaggio chiaro, semplice, facile, accessibile a tutti, popolare. Le ragioni civili e patriottiche si imposero in un secondo tempo, quando via via che si realizzava l’unità d’Italia, egli si pose il problema di una lingua comune, unica e unificante che favorisse l’unità spirituale degli Italiani. Ponendosi il problema della lingua, Manzoni faceva un confronto tra gli Italiani e gli altri popoli. Egli notava, per esempio, che mentre nella Spagna, in Francia, in Inghilterra la lingua letteraria era assai vicina a quella parlata, c’era un abisso, invece, in Italia, tra la lingua scritta e quella parlata. Considerando poi la lingua scritta degli Italiani, il Manzoni notava che essa era antiquata, aulica, dotta, retorica, difficile e incomprensibile per gli ignoranti. Lo scrittore italiano era perciò condannato o ad usare una lingua vicina a quella parlata, per essere vivace e moderno, col rischio però di dare un’impronta dialettale alla sua opera e di confinarla nell’ambito della sua regione, oppure ad usare la lingua letteraria della tradizione, col rischio però di vedere la sua opera compresa solo dai dotti di tutte le regioni italiane, ma naturalmente ignorata dal popolo. Occorreva perciò una lingua che fosse nello stesso tempo moderna ed unitaria: per essere moderna, occorreva che fosse una lingua parlata, per essere unitaria occorreva scegliere e avere come modello una particolare lingua parlata. Per il Manzoni la lingua unitaria degli Italiani doveva essere il fiorentino, ma non quello scritto della tradizione letteraria, caro ai puristi, ma quello parlato dalle persone colte di Firenze, nei bisogni della vita pratica. Si trattava di una rivoluzione vera e propria, perché la teoria manzoniana abbatteva finalmente lo steccato che da secoli si era alzato in Italia tra la lingua dei letterati e quella del popolo, e, uniformandosi ai postulati del romanticismo, diffondeva l’uso di una lingua semplice, chiara, spontanea, popolare. Alessandro Manzoni mise in pratica la sua teoria con intelligenza e moderazione, accogliendo nella sua prosa, quando era necessario, ai fini della precisione e della chiarezza, anche i termini non fiorentini, ricavati dalla tradizione culturale italiana e straniera.
ATTIVITA'
E oggi, quale lingua parliamo? In che modo si è evoluta la lingua italiana?
lunedì 16 maggio 2016
LEOPARDI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Volendo riassumere in breve la posizione leopardiana intorno alla questione della lingua si dirà che egli, pur su una linea comune di affermazione dei valori della tradizione linguistico-letteraria, in opposizione al padre Cesari, al Puoti e agli altri Puristi (che in modo assolutamente conservativo propugnavano un ritorno della nostra lingua all’uso trecentesco, senza preoccuparsi della natura dinamica di essa come di ogni altra lingua) sostenne che il secolo di Dante non aveva esaurito del tutto i valori della lingua italiana che, anzi, solo successivamente ebbe modo di raggiungere splendidamente la sua acmè nel ‘500, il secolo veramente aureo della nostra cultura non solo letteraria, allorché l’Italia, come sostiene il poeta, ebbe: <<coltivatori di ogni sorta di cognizioni e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua, ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec.>>. Da quest’ultima affermazione risulta che l’autore dei Canti condividesse il precetto illuministico-romantico della lingua quale organismo vivente soggetto ai movimenti della Storia, come dimostra più chiaramente la seguente ed interessante ipotesi leopardiana, consegnata il 31 luglio 1822 alle pagine dello Zibaldone, e sostenuta con abbondanza di considerazioni storiche, politiche e filologiche non meno che fantastiche dietro le quale vediamo rispuntare l’influenza del pensiero vichiano o la probabile mediazione del Cesarotti: << La storia di ciascuna lingua è la storia di quelli che la parlarono o la parlano, e la storia delle lingue è la storia della mente umana (L’histoire de chaque langue est l’histoire des peuples qui l’ont parlé ou qui la parlent, et l’histoire des langues est l’histoire de l’esprit humain>>. Pertanto sarebbe stato insensato, sia cercare di fermarla, immobilizzandola, sia bloccarne lo sviluppo retrocedendola addirittura nel passato, come pretendevano di fare ad apertura di secolo (fra il 1806 e il 1811) quelli che sotto le bandiere del cosiddetto << purismo >> propugnavano un esclusivo ritorno al Trecento, quel tanto lodato e benedetto secolo d’oro nel quale, a loro modo d’intendere, tutti parlavano e scrivevano bene.
mercoledì 13 aprile 2016
IL ROMANTICISMO ARTISTICO
Romantici
furono grandi scrittori e poeti inglesi come Byron e Shelley,
e i francesi Victor Hugo
e Alphonse de Lamartine,
o il drammaturgo tedesco Friedrich
Schiller. In Italia aderirono al movimento scrittori come Giovanni Berchet e Giovanni Prati, ma furono
vicino per molti aspetti al Romanticismo anche un grandissimo poeta come Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni nel suo
periodo giovanile.
Al movimento
romantico si avvicinarono grandi pittori come lo spagnolo Francisco Goya e i francesi
Géricault e Delacroix, e musicisti come
Beethoven, Schubert, Chopin, Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi. Molti
romantici, poeti e romanzieri, musicisti e pittori sostennero l'ideale della
libertà dei popoli, il valore dell'idea di nazione e di patria, con la sua
storia, le sue tradizioni, i suoi costumi.
Grandi veicoli
di trasmissione delle idee romantiche e liberali furono l'esercito e il
servizio militare, i viaggi all'estero, le letture pubbliche nei salotti
aristocratici e borghesi, le scuole e le università.
Studenti e
professori, così come ufficiali e soldati, spesso reduci del vecchio esercito
napoleonico, furono tra i primi artefici della propaganda romantica e liberale,
in Italia, in Francia, in Spagna.
Il viandante sul mare di nebbia
(1811) Caspar David Friedrich
- (Der Wanderer über dem Nebelmeer) è un
dipinto ad olio su tela.
ATTIVITA'
Quali aspetti identificano il dipinto "Il viandante sul mare di nebbia" di Caspar David Friedrich emblema del movimento romantico?
martedì 1 marzo 2016
VERSO LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDEZA
Gli antefatti della Prima Guerra d'Indipendenza sono da ricercarsi nel clima generale che regnava in Europa e in tutta la penisola, dove le insurrezioni si susseguivano. In Italia le città insorgevano nei confronti del dominio austriaco e la prima fu Venezia, il 17 Marzo 1848. Dopo appena 5 giorni venne proclamata la rinascita della Repubblica, configurando il primo successo. Gli avvenimenti preoccuparono il vice governatore di Milano, che decise di costituire una guardia civica presidiata da soldati austriaci e con al comando il maresciallo Radetzky. Nonostante questo la popolazione insorse tra il 18 e il 22 Marzo 1848, periodo chiamato "Cinque Giornate di Milano". Al termine del conflitto le truppe straniere furono allontanate dalla città e il maresciallo Radetzky dovette rifugiarsi nelle "fortezze del Quadrilatero" (Mantova, Peschiera, Verona e Legnago). Carlo Alberto di Savoia, Re del Regno di Sardegna, era ben consapevole che il suo esercito fosse impreparato a un combattimento. Nonostante questo, per le pressioni di personaggi influenti tra cui Cavour, il 23 Marzo 1848 si intervenne a fianco degli insorti lombardi. Tale evento segna l'inizio della Prima Guerra di Indipendenza, cui parteciparono anche reparti volontari provenienti da tutta Italia. Tra questi, i reparti toscani bloccarono un'offensiva austriaca a Curtatone e a Montanara, sconfiggendo poi definitivamente i nemici a Goito. Gli abitanti dei Ducati padani, della Lombardia e di Venezia, tra maggio e luglio 1848 votarono per l'annessione al Regno di Sardegna. La situazione cambiò drasticamente quando, il 29 aprile, il Papa dichiarò di non voler partecipare a una guerra contro un Paese cattolico come l'Austria. Di conseguenza il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio e la Toscana ritirarono le truppe, indebolendo in modo determinante l'esercito piemontese, che fu costretto alla resa e alla firma dell'armistizio il 9 Agosto 1848.
Carlo Alberto di Savoia, Re del Regno di Sardegna, era ben consapevole che il suo esercito fosse impreparato a un combattimento. Nonostante questo, per le pressioni di personaggi influenti tra cui Cavour, il 23 Marzo 1848 si intervenne a fianco degli insorti lombardi. Tale evento segna l'inizio della Prima Guerra di Indipendenza, cui parteciparono anche reparti volontari provenienti da tutta Italia. Tra questi, i reparti toscani bloccarono un'offensiva austriaca a Curtatone e a Montanara, sconfiggendo poi definitivamente i nemici a Goito. Gli abitanti dei Ducati padani, della Lombardia e di Venezia, tra maggio e luglio 1848 votarono per l'annessione al Regno di Sardegna. La situazione cambiò drasticamente quando, il 29 aprile, il Papa dichiarò di non voler partecipare a una guerra contro un Paese cattolico come l'Austria. Di conseguenza il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio e la Toscana ritirarono le truppe, indebolendo in modo determinante l'esercito piemontese, che fu costretto alla resa e alla firma dell'armistizio il 9 Agosto 1848.
CLICCA E VEDI IL VIDEO DELLA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA IN TUTTE LE FASI: LE FASI DELLA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA
ATTIVITA'
Quali furono le condizioni poste dall'Austria nella pace di Milano (10 agosto 1849)?
ARTE NEOCLASSICA E ARTE ROMANTICA
IL NEOCLASSICISMO
Il
Neoclassicismo è la logica conseguenza
sulle arti del pensiero illuminista. Nel
secondo Settecento si affermano orientamenti estetici nei quali prendono
importanza finalità come la promozione di un'umanità nuova, più semplice e
libera, vicina alla natura e al tempo stesso capace di seguire la ragione. Il
nuovo intellettuale, come era prospettato dalla voce “Filosofo” dell'Enciclopedia, doveva, tra l'altro, attribuire
un valore pratico ed utile al sapere ed essere socialmente impegnato.
Assieme
al rifiuto degli eccessi del Barocco e del Rococò, il Neoclassicismo guardava all'arte
dell'antichità classica, specie a quella della Grecia che si era potuta
sviluppare grazie alle libertà di cui godevano gli uomini delle poleis. In un primo momento questa ripresa classicistica si connotò soprattutto
come reazione allo stile barocco e alle sue frivolezze, contrapponendo ai
soggetti piacevoli ed edonistici temi di maggiore impegno e ai virtuosismi e
agli illusionismi pittorici degli effetti più misurati, basati sulla
compostezza della linea e sulla stesura uniforme del colore.
Il
termine fu coniato alla fine dell'Ottocento con intento dispregiativo per
indicare un'arte non originale, fredda e accademica.
Tuttavia
esso ben comunica il desiderio di ritorno
all'antico e la volontà di dar vita a un nuovo classicismo. Gli scavi di
Ercolano e di Pompei proponevano agli sguardi attoniti dei contemporanei
architetture, affreschi, statue, arredi, gioielli d'uso quotidiano di due
cittadine di provincia sepolte dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Il
movimento neoclassico ebbe come sede privilegiata Roma, fonte inesauribile
d'ispirazione classica, il suo massimo teorico fu il tedesco Johann Joachim Winckelmann. Il mondo dei
Greci e dei Romani assumeva il volto, negli scritti di Winckelmann e di altri
teorici del movimento, di una perfezione ideale,
confinata in una lontananza irrecuperabile eppure ancora capace di spingere gli
artisti contemporanei all'emulazione del repertorio iconografico e figurativo e
della mentalità degli antichi per farne rivivere lo spirito e, soprattutto, per
interpretare gli ideali e sogni del presente.
La
riflessione su ciò che è bello dal punto di vista dell'arte affonda le sue
radici nel pensiero filosofico greco, ma solo col secolo XVIII si assiste alla
nascita di una disciplina filosofica apposita, l'Estetica, finalizzata
alla comprensione del bello e dell'arte. Il primo ad utilizzare in questi
termini la parola estetica fu, nel 1735, il filosofo tedesco Alexander Gottlieb
Baumgarten nel libro Aesthetica, e furono riprese poi da
Immanuel Kant nella Critica del giudizio.
La novità che si fa strada nel corso del secondo Settecento è invece proprio
una concezione unitaria delle varie arti,
per cui esse hanno in comune un medesimo riferimento ad un ideale di bellezza e
si distinguono nettamente dalle tecniche, alle quali pure in passato veniva
attribuito il nome di “arti”.
CLICCA E VEDI IL VIDEO: IL RINASCIMENTO
La statua di Apollo del Belvedere, Musei Vaticani.
Il gruppo scultoreo di Laocoonte e i suoi figli (I sec. d. C.) è una scultura monumentale di marmo che raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide di Virgilio.
Il troiano Laocoonte si vede assalito da due serpenti marini, per aver gridato ai Troiani che era pazzia fidarsi dei doni (il cavallo) dei Greci. Fu punito così da Poseidone che aveva già deciso sconfitta e la distruzione di Troia.
Il Gruppo del Laocoonte, Musei Vaticani.
NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Neoclassicismo e romanticismo costituiscono due importanti fasi di uno stesso processo storico e, pur sembrando a prima vista assolutamente antitetiche, risultano in realtà tra loro profondamente connesse sul piano artistico e culturale.
Secondo lo storico
dell'arte Giulio Carlo Argan il Neoclassicismo “non è altro che una fase della concezione
romantica dell'arte”, in quanto in entrambe le correnti si avrebbe il
prevalere di un “fattore ideologico,
talora esplicitamente politico” in sostituzione del “principio metafisico della natura come
rivelazione”.
Mentre il Neoclassicismo si fa promotore del ritorno
all'ordine, alla regolarità e alla disciplina, ispirandosi ai modelli classici,
il Romanticismo esalta la fantasia,
la sensibilità personale e la malinconia, esasperando il sentimento e
rifiutando tutto ciò che si poteva in qualche modo ricollegare con il
razionalismo illuminista che del Neoclassicismo aveva costituito la base
teorica.
Gli artisti e gli intellettuali
romantici, pur contrapponendosi in modo vivace a quelli neoclassici, hanno di
fatto una formazione assai simile e sono nutriti degli stessi studi. I
Neoclassici fanno appello direttamente al mondo della classicità greco-romana,
mentre i Romantici, dal canto loro, tendono a riconoscersi nella spiritualità
del Medioevo, visto come periodo di origine dei sentimenti e dell'orgoglio
nazionali.
Il modo di vedere e di
sentire la natura, ad esempio, rende perfettamente l'idea della radicale
contrapposizione ideologica dei due movimenti. L'uomo romantico si sente parte
integrante della natura e vi si immerge profondamente, personalizzandole e
modificandola in funzione dei propri stati d'animo e delle proprie necessità
espressive. L'uomo neoclassico, al contrario, si sforza di rimanerne estraneo e
di indagarne razionalmente le caratteristiche al fine di padroneggiarla,
negandole volutamente qualsiasi valore poetico ed espressivo.
In un caso e nell'altro,
comunque, l'arte tende a diventare stile, cioè insieme omogeneo di regole, di
tecniche e di contenuti facilmente individuabili e altrettanto facilmente
trasmissibili attraverso le scuole
d'arte e le accademie. In
questo modo si arriva a creare una sorta di gusto nazionale egemone,
generalmente ritenuto valido sia sul piano formale (estetico) sia su quello dei
contenuti (etico) ottenendo il risultato di controllare (ed eventualmente
contrastare) l'emergere di personalità o movimenti artistici in disaccordo con
gli indirizzi ufficiali.
Inoltre nel corso dell'Ottocento
si affermò una nuova soggettività dell'esperienza artistica, da cui dipese il
superamento della tradizionale suddivisione dei generi artistici e del sistema
di regole convenzionale, un fatto di portata enorme che diede avvio alla grande
pittura inglese, tedesca e francese (Turner
e Constable, Runge e Friedrich, Delacroix e Daumier).
ATTIVITA'
Rispondi brevemente alla domanda:
In che cosa consiste la polemica classico-romantica?
giovedì 11 febbraio 2016
IL 10 FEBBRAIO COMMEMORAZIONE DELLE VITTIME DELLE FOIBE
Dopo la "Giornata della memoria" del 27 gennaio per le vittime della Shoah, il 10 febbraio in tutta Italia si celebra il "Giorno del ricordo" per non dimenticare i cinquemila italiani massacrati in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945.
Uccisi dai partigiani comunisti di Tito solo perché erano italiani: una "pulizia" politica ed etnica in piena regola, mascherata come azione di guerra o vendetta contro i fascisti.
In realtà nelle cavità carsiche chiamate foibe vennero gettati ancora vivi, l'uno legato all'altro col fil di ferro, uomini, donne, anziani e bambini che in quel periodo di grande confusione bellica si erano ritrovati in balìa dei partigiani comunisti jugoslavi.
Il "Giorno del ricordo" non è solo dedicato alle vittime delle foibe, ma anche alla grande tragedia dei profughi giuliani: 350 mila costretti all'esodo, a lasciare case e ogni bene per fuggire con ogni mezzo in Italia dove furono malamente accolti.
In gran parte finirono nei campi profughi e ci rimasero per anni. Uno di questi campi fu organizzato anche a Fertilia. Per mezzo secolo sulle stragi delle foibe e sull'esodo dei giuliani si è steso un pesante silenzio.
domenica 31 gennaio 2016
CANTI E POESIE PER UN'ITALIA UNITA
Il testo dell' inno nazionale
Quello che segue è il testo completo della poesia originale scritta da Goffredo Mameli, tuttavia l'inno italiano, così come eseguito in ogni occasione ufficiale, è composto dalla prima strofa e dal coro, ripetuti due volte, e termina con un "Sì" deciso.
Mentre leggi qui sotto, ascolta L'INTERA ESECUZIONE DELL'INNO.
- Qui il poeta si riferisce all'uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne libere che portavano invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la chioma perché le venga tagliata quale schiava di Roma sempre vittoriosa. Torna alla poesia di Mameli
- La coorte (cohors, cohortis) era un'unità da combattimento dell'esercito romano, decima parte di una legione. Questo riferimento militare molto forte, rafforzato poi dal richiamo alla gloria e alla potenza militare dell'antica Roma, ancora una volta chiama tutti gli uomini alle armi contro l'oppressore.
- La Battaglia di Legnano (29 maggio 1176), con cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa , qui simbolo dell'oppressione straniera.
- Francesco Ferrucci , simbolo dell' Assedio di Firenze (2 agosto 1530), con cui le truppe dell' Imperatore volevano abbattere la Repubblica fiorentina per restaurare la signoria dei Medici. In questa circostanza, il Ferrucci morente venne vigliaccamente finito con una pugnalata da Fabrizio Maramaldo , un capitano di ventura al servizio di Carlo V. «Vile, tu uccidi un uomo morto», furono le celebri parole d'infamia che l'eroe rivolse al suo assassino. È da notare come in seguito il nome maramaldo sia stato associato a termini quali vile , traditore , fellone .
- Soprannome di Giovan Battista Perasso che il 5 dicembre 1746 diede inizio, col lancio di una pietra ad un ufficiale, alla rivolta genovese che si concluse colla scacciata degli austriaci, che da alcuni mesi occupavano la città.
- I Vespri siciliani , l'insurrezione del Lunedì di Pasqua del 1282 contro i francesi estesasi a tutta la Sicilia dopo essere cominciata a Palermo, scatenata dal suono di tutte le campane della città.
- Anche la Polonia era stata invasa dall'Austria, che coll'aiuto della Russia l'aveva smembrata. Il destino della Polonia è singolarmente legato a quello dell'Italia: anche nel suo inno ( Mazurca di Dabrowski ) c'è un riferimento agli italiani, e dei soldati polacchi combatterono in Italia con le truppe alleate contro i tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale, partecipando anche all' assalto finale a Montecassino .
- Un augurio e un presagio: il sangue dei popoli oppressi, che si solleveranno contro l'Austria, ne segnerà la fine.
GLOSSARIO RETORICO
CLICCA SUL
e leggi le figure più comuni per riconoscerle quando devi analizzare un testo dal punto di vista formale.
Per ogni curiosità di retorica e stilistica consultate il testo linkato del prof. Angelo Marchese
arte artificio sull'uso delle parole
|
mercoledì 20 gennaio 2016
L'OTTOCENTO: IL SECOLO DELLE LIBERTA'
Il secolo XIX: l’epoca della borghesia.
L’ '800 viene definito il secolo del trionfo della
borghesia sia dal punto di vista politico e sociale che economico. Infatti, durante l’ '800 in tutti i più avanzati
paesi europei la classe borghese, in contrasto con l’aristocrazia feudale (o
quanto restava dell’antico regime basato sui ceti), progressivamente prende il
dominio della società ed impone delle
costituzioni liberali , con elezioni a suffragio ristretto che modificano
radicalmente la vecchia concezione dello Stato; infatti contano sempre meno i
privilegi di nascita, a favore della capacità individuali. Contemporaneamente
si espande la rivoluzione industriale (carbone, acciaio, vapore) che sconvolge
la precedente struttura economica, basata sull’agricoltura e sull’artigianato:
all’artigiano subentra l’operaio, all’oggetto artigianale il prodotto
industriale, si diffondono nuove fonti di energia e tecnologie radicalmente
diverse (i motori a vapore, le locomotive, i nuovi macchinari). Il sistema
economico capitalista soppianta i modi di produzione e l’economia
preindustriale (e la classe sociale ad essi legata: l’aristocrazia): esso è
basato, appunto, su società di capitale (cioè società “anonime” per azioni,
con un ruolo determinante della banche): solo enormi capitali permettono la
rivoluzione industriale. In contemporanea (e in connessione) con questo
impetuoso sviluppo economico si espande il colonialismo. Alla fine del secolo
tutta l’Africa e quasi tutta l’Asia (
fanno parziale eccezione solo il Giappone e la Cina) sono colonizzati dalle
potenze europee ( in primis Gran Bretagna e Francia): sono i grandi imperi
coloniali che offrono le materie prime (e sbocchi mercantili esclusivi) alle
industrie europee.
LA RESTAURAZIONE.
Con la caduta di Napoleone si
chiude, apparentemente, la parentesi aperta nel 1789 con la Rivoluzione
francese: i vecchi ceti sociali tirano un respiro di sollievo e pensano di
poter “restaurare “ l’antico regime
come se non fosse successo niente: ritornano le vecchie dinastie e i vecchi
sistemi con la classica alleanza tra trono
(monarchie assolute, aristocrazia) e altare
(religione, che vedeva nei principi della rivoluzione francese il diavolo). In
realtà la cancellazione dei principi dell ‘89 non è possibile e si susseguono moti e rivolte (1821 - 1831;) con richieste di Costituzioni liberali e di
maggiore libertà individuale
La Restaurazione in Italia
In Italia la Restaurazione
riporta la situazione pre-napoleonica, con le vecchie dinastie: i Borbone a
Napoli e Palermo; i Savoia, in Piemonte, Liguria e Sardegna; i Lorena in
Toscana; i piccoli principati padani (Modena, Parma e Piacenza); il Papa nel
Lazio, Umbria, Marche, Bologna e Romagna. L’Impero austriaco la fa da padrone, sia
territorialmente (il regno
lombardo-veneto) sia politicamente (tutti
i principali monarchi, con l’eccezione dei Savoia, dipendono o si appoggiano
all’imperatore).
In realtà sotto la coltre della
Restaurazione anche in Italia molto si muove: le società segrete di patrioti, in particolare la carboneria, mantengono vivi i principi della Rivoluzione francese e
organizzano moti e rivolte che esplodono periodicamente, anche come riflesso
dei moti liberali europei. Gli obiettivi delle società segrete sono vari:
spingere i sovrani a concedere una Costituzione liberale, abolire anacronistici
privilegi feudali che la Restaurazione aveva reintrodotto, ottenere le libertà
individuali di stampa, associazione; uscire dalla dipendenza austriaca. Si
dibatte molto anche sulla unità d’Italia, con diverse ipotesi: una
confederazione di più stati,(l’idea federalista
di Giovanni Cattaneo) un’unica nazione (una,
libera, indipendente e repubblicana come con entusiasmo sostiene Giuseppe
Mazzini): è l’inizio di quel periodo chiamato Risorgimento che porterà, nel 1861, alla unità d’ Italia.
1848: le rivoluzioni liberali
in Europa e la prima guerra di indipendenza italiana.
Il 1848 è un anno speciale: è
addirittura entrato nel linguaggio comune come sinonimo di confusione e stravolgimenti.
In tutta Europa scoppiano
rivolte: Parigi, Vienna, Berlino,
Budapest. E, ancor di più, sono rivolte che si concludono con dei risultati
concreti: in tutti i principali stati europei entravo in vigore Costituzioni liberali.
Il ’48 rappresenta il fallimento della
Restaurazione e il trionfo europeo del Liberalismo e della borghesia.
Anche in Italia il ‘48 è un anno
di svolta. La rivolta (i moti) scoppiano in tutte le capitali e quasi tutti i
monarchi concedono Costituzioni: i Borbone a Napoli, i Lorena a Firenze e
Carlo Alberto di Savoia in Piemonte e Sardegna. In realtà solo quest’ultimo (lo Statuto Albertino) sopravvisse al '48 e durò fino al 1946, quando fu
sostituito dalla Costituzione Repubblicana.
Insorgono anche Milano e Venezia contro il dominio austriaco. In aiuto
dei rivoltosi accorrono patrioti da tutta Italia e, alla fine, anche l’esercito
sabaudo capeggiato da Carlo Alberto: è la prima
guerra di indipendenza. Dopo varie vicende i piemontesi vengono sconfitti
dall’imponente esercito austriaco: Carlo Alberto abdica in favore del figlio
Vittorio Emanuele II e va in esilio; su tutta Italia incombe la “seconda restaurazione”: i monarchi
ritirano le costituzioni, l’Austria torna ad imporre la sua autorità e ha
facilmente vittoria sulle ultime fiamme rivoluzionarie: le rivolte di Venezia e Brescia, e l’effimera
Repubblica romana, sostenuta da Mazzini e difesa dal giovane Garibaldi. Il
bilancio italiano del '48 sembra un totale disastro, ma non è proprio così: a
Torino Vittorio Emanuele II si rifiuta di abrogare lo Statuto e il Parlamento,
e il regno di Sardegna diventa quindi un riferimento e un catalizzatore per le
aspirazioni liberali e unitarie.
giovedì 7 gennaio 2016
LA COMMEDIA DELL'ARTE
LA COMMEDIA DELL'ARTE PUNTO DI PARTENZA DELLA RIFORMA DI CARLO GOLDONI
Nata circa a metà del sec. XVI, e durata fino all'inizio del XIX, la Commedia dell'Arte si chiamò commedia buffonesca, istrionica, di maschere, all'improvviso, a soggetto; e, in molti paesi stranieri dal sec. XVII in poi, italiana. Ma su tutte queste denominazioni quella di commedia dell'arte prevalse, perché definiva con precisione il suo carattere essenziale; ch'era di essere recitata, per la prima volta in Europa, da compagnie di comici regolarmente costituite, con artisti che vivevano dell'arte loro; in altri termini, da comici di mestiere. Durante il Medioevo, se ne esclude qualche infima categoria d'istrioni, gl'interpreti del teatro religioso e di quello erudito non erano attori di professione. Con la Commedia dell'Arte appare un'organizzazione nuova, di attori specializzati, attraverso un addestramento tecnico, mimico, vocale, perfino acrobatico, e alle volte con una preparazione culturale. Questi attori rappresentavano anche opere più o meno regolari, ossia scritte; e continuarono ad avere nel loro repertorio tragedie, drammi pastorali, e le cosiddette opere regie, ridotte dallo spagnolo. Ma il loro campo vero, per cui divennero in pochi anni famosi in tutta Europa, fu la commedia a soggetto, ossia la commedia di cui non si scriveva se non lo scenario, la trama, lasciandone lo sviluppo dialogico e mimico all'improvvisazione dei comici.
La Commedia dell'Arte si è voluta far derivare, secondo alcuni studiosi, dalle farse laziali e campane, che nella letteratura latina precedono la commedia di Plauto. S'è notato che i quattro tipi ricorrenti nelle fabulae ȧtellanae, Pappus, Maccus, Bucco e Dossennus, erano quattro maschere non dissimili, come psicologia, da alcune di quelle che stilizzano i personaggi della Commedia dell'Arte. S'è denunciata la rassomiglianza fra l'abito del mimus albus, il mimo bianco, e quello di Pulcinella; o fra l'abito del mimus centunculus, fatto di toppe variopinte, e quello d'Arlecchino. Si è detto che la parola con cui nella Commedia dell'Arte si designavano i buffoni, Zanni, rassomiglia alla parola sannio "buffone", usata dai Latini. E si può avvertire che le maschere brune che i comici dell'arte portavano sul viso forse ricordano, più che le maschere della tragedia e commedia greco-latina, i volti anneriti e sfigurati dal mosto con cui s'impiastricciavano e si rendevano irriconoscibili i rustici attori dei fescennini. Ma l'ipotesi d'una derivazione diretta della commedia dell'arte e dei suoi tipi, attraverso quasi due millennî, dall'antichità latina al Rinascimento, oggi è generalmente abbandonata. Tipi fissi ce ne sono stati in tutti i generi, di farse e di commedie; appunto per quella esigenza di stilizzazione e di artificio meccanico che è una caratteristica del comico. Zanni e Pulcinelli biancovestiti non sono fioriti soltanto in Italia, ma anche in Grecia (si pensi ai fliaci, con cappuccio, camiciotto e stocco) e in Oriente; buffoni mascherati, pagliacci improvvisatori di dialoghi non imparati rigorosamente a memoria ma soltanto concertati se ne sono avuti in tutti i luoghi e in tutti i tempi: li abbiamo ancora nei circhi equestri.
ATTIVITA'
1) Perché la Chiesa condannava la Commedia dell'Arte?
3) Perché la Commedia dell'Arte, negli ultimi anni del Seicento, perdette il suo pubblico?
4) In che modo Goldoni riforma il teatro comico?
1) Perché la Chiesa condannava la Commedia dell'Arte?
3) Perché la Commedia dell'Arte, negli ultimi anni del Seicento, perdette il suo pubblico?
4) In che modo Goldoni riforma il teatro comico?
Iscriviti a:
Post (Atom)