martedì 17 maggio 2016

LA QUESTIONE DELLA LINGUA: ALESSANDRO MANZONI

Con il termine ‘questione della lingua’ si è soliti indicare una storica disputa in ambito letterario per identificare quale lingua utilizzare nei territori della penisola italiana. Tale dibattito iniziò di fatto al principio del 1300 con il trattatto De vulgari eloquentia (in lingua latina) di Dante Alighieri, ebbe una fase acuta agli inizi del 1500 e continuò a fasi alterne fino all’epoca di Alessandro Manzoni con il quale si ebbe una svolta importante. Egli affrontò la questione della lingua in un primo tempo per ragioni artistiche e religiose, e in un secondo tempo per ragioni civili e patriottiche. Le ragioni artistiche e religiose sono connesse alla composizione dei Promessi Sposi. Accingendosi a scrivere il romanzo, Manzoni si pose il problema di un linguaggio che fosse in armonia con la sua poetica, la quale, facendo dell’opera d’arte un mezzo di elevazione morale e di apostolato delle verità cristiane in mezzo al popolo, esigeva l’uso di un linguaggio chiaro, semplice, facile, accessibile a tutti, popolare. Le ragioni civili e patriottiche si imposero in un secondo tempo, quando via via che si realizzava l’unità d’Italia, egli si pose il problema di una lingua comune, unica e unificante che favorisse l’unità spirituale degli Italiani. Ponendosi il problema della lingua, Manzoni faceva un confronto tra gli Italiani e gli altri popoli. Egli notava, per esempio, che mentre nella Spagna, in Francia, in Inghilterra la lingua letteraria era assai vicina a quella parlata, c’era un abisso, invece, in Italia, tra la lingua scritta e quella parlata. Considerando poi la lingua scritta degli Italiani, il Manzoni notava che essa era antiquata, aulica, dotta, retorica, difficile e incomprensibile per gli ignoranti. Lo scrittore italiano era perciò condannato o ad usare una lingua vicina a quella parlata, per essere vivace e moderno, col rischio però di dare un’impronta dialettale alla sua opera e di confinarla nell’ambito della sua regione, oppure ad usare la lingua letteraria della tradizione, col rischio però di vedere la sua opera compresa solo dai dotti di tutte le regioni italiane, ma naturalmente ignorata dal popolo. Occorreva perciò una lingua che fosse nello stesso tempo moderna ed unitaria: per essere moderna, occorreva che fosse una lingua parlata, per essere unitaria occorreva scegliere e avere come modello una particolare lingua parlata. Per il Manzoni la lingua unitaria degli Italiani doveva essere il fiorentino, ma non quello scritto della tradizione letteraria, caro ai puristi, ma quello parlato dalle persone colte di Firenze, nei bisogni della vita pratica. Si trattava di una rivoluzione vera e propria, perché la teoria manzoniana abbatteva finalmente lo steccato che da secoli si era alzato in Italia tra la lingua dei letterati e quella del popolo, e, uniformandosi ai postulati del romanticismo, diffondeva l’uso di una lingua semplice, chiara, spontanea, popolare. Alessandro Manzoni mise in pratica la sua teoria con intelligenza e moderazione, accogliendo nella sua prosa, quando era necessario, ai fini della precisione e della chiarezza, anche i termini non fiorentini, ricavati dalla tradizione culturale italiana e straniera.

ATTIVITA'
E oggi, quale lingua parliamo? In che modo si è evoluta la lingua italiana?

lunedì 16 maggio 2016

LEOPARDI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA

Volendo riassumere in breve la posizione leopardiana intorno alla  questione della lingua si dirà che egli, pur su una linea comune di affermazione dei valori della tradizione linguistico-letteraria, in opposizione al padre Cesari, al Puoti e agli altri Puristi (che in modo assolutamente conservativo propugnavano un ritorno della nostra lingua all’uso trecentesco, senza preoccuparsi della natura dinamica di essa come di ogni altra lingua) sostenne che il secolo di Dante non aveva esaurito del tutto i valori della lingua italiana che, anzi, solo successivamente ebbe modo di raggiungere splendidamente la sua acmè nel ‘500, il  secolo veramente aureo della nostra cultura non solo letteraria, allorché l’Italia, come sostiene il poeta, ebbe: <<coltivatori di ogni sorta di cognizioni e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua, ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec.>>. Da quest’ultima affermazione risulta che l’autore dei Canti condividesse il precetto illuministico-romantico della lingua quale organismo vivente soggetto ai movimenti della Storia, come dimostra più chiaramente la seguente ed interessante ipotesi leopardiana, consegnata il 31 luglio 1822 alle pagine dello Zibaldone, e sostenuta con abbondanza di considerazioni storiche, politiche e filologiche non meno che fantastiche dietro le quale vediamo rispuntare l’influenza del pensiero vichiano o la probabile  mediazione del Cesarotti: << La storia di ciascuna lingua è la storia di quelli che la parlarono o la parlano, e la storia delle lingue è la storia della mente umana (L’histoire de chaque langue est l’histoire des peuples qui l’ont parlé ou qui la parlent, et l’histoire des langues est l’histoire de l’esprit humain>>. Pertanto sarebbe stato insensato, sia cercare di fermarla, immobilizzandola, sia bloccarne lo sviluppo retrocedendola addirittura nel passato, come pretendevano di fare ad apertura di secolo (fra il 1806 e il 1811) quelli che sotto le bandiere del cosiddetto << purismo >> propugnavano un esclusivo ritorno al Trecento, quel tanto lodato e benedetto secolo d’oro nel quale, a loro modo d’intendere, tutti parlavano e scrivevano bene.


mercoledì 13 aprile 2016

IL ROMANTICISMO ARTISTICO

Romantici furono grandi scrittori e poeti inglesi come Byron e Shelley, e i francesi Victor Hugo e Alphonse de Lamartine, o il drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. In Italia aderirono al movimento scrittori come Giovanni Berchet e Giovanni Prati, ma furono vicino per molti aspetti al Romanticismo anche un grandissimo poeta come Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni nel suo periodo giovanile.
Al movimento romantico si avvicinarono grandi pittori come lo spagnolo Francisco Goya e i francesi Géricault e Delacroix, e musicisti come Beethoven, Schubert, Chopin, Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi. Molti romantici, poeti e romanzieri, musicisti e pittori sostennero l'ideale della libertà dei popoli, il valore dell'idea di nazione e di patria, con la sua storia, le sue tradizioni, i suoi costumi.
Grandi veicoli di trasmissione delle idee romantiche e liberali furono l'esercito e il servizio militare, i viaggi all'estero, le letture pubbliche nei salotti aristocratici e borghesi, le scuole e le università.
Studenti e professori, così come ufficiali e soldati, spesso reduci del vecchio esercito napoleonico, furono tra i primi artefici della propaganda romantica e liberale, in Italia, in Francia, in Spagna.
Il viandante sul mare di nebbia (1811) Caspar David Friedrich
- (Der Wanderer über dem Nebelmeer) è un dipinto ad olio su tela.

ATTIVITA'
Quali aspetti identificano il dipinto "Il viandante sul mare di nebbia" di Caspar David Friedrich emblema del movimento romantico?